
Continuiamo a chiedere all’Italia a all’Unione Europea coraggio nel campo delle scelte economiche.
Pensiamo anche alle conseguenze di questo conflitto: abbiamo chiesto che la Commissione utilizzi i fondi europei, ad esempio con un nuovo programma Sure.
Di seguito l’intervista integrale al Segretario Generale, in edicola su Il Fatto Quotidiano.
𝐍𝐨𝐧 𝐚𝐯𝐞𝐭𝐞 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐢 𝐝𝐮𝐛𝐛𝐢 𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐟𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝟓 𝐦𝐚𝐫𝐳𝐨: 𝐬𝐢𝐞𝐭𝐞 𝐬𝐨𝐝𝐝𝐢𝐬𝐟𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐞𝐬𝐢𝐭𝐨?
«Assolutamente, la pace per noi è un valore assoluto e tutte le occasioni utili a rafforzarla vedranno la presenza della Uil. Tra l’altro lo abbiamo fatto anche in modo pratico con un camion di aiuti all’Ucraina pieno di aiuti umanitari».
𝐋𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐟𝐞𝐬𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐢 𝐞̀ 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨 𝐥𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐞 𝐩𝐨𝐥𝐞𝐦𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐮𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐞𝐠𝐠𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐠𝐮𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐚𝐜𝐢𝐟𝐢𝐬𝐭𝐢.
«Noi abbiamo partecipato al tavolo della pace, condiviso il documento ufficiale, aderito alla manifestazione. E oggi siamo per aumentare le sanzioni, spingere ancora con più forza la diplomazia e sostenere il popolo ucraino. E continuiamo a chiedere all’Italia a all’Unione Europea coraggio nel campo delle scelte economiche».
𝐈𝐧 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐨?
«Nel senso che non ci sembra chiaro finora se è davvero la pace a determinare le scelte economiche oppure siano queste a condizionare la pace».
𝐕𝐢 𝐫𝐢𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐞 𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐭𝐭𝐞𝐠𝐠𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐚𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐥𝐚 𝐑𝐮𝐬𝐬𝐢𝐚?
«Ci riferiamo, ad esempio, al costo del gas su cui vanno fatte scelte precise e non condizionate dagli interessi economici».
𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞𝐭𝐞, 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐯𝐢 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐞?
«Proprio sabato scorso, giorno del 72° anniversario della Uil, abbiamo tenuto un convegno in cui abbiamo chiesto al vicepresidente della Commissione europea, Timmermans, di parlare delle ricadute economiche della transizione energetica anche alla luce della guerra. Abbiamo chiesto che la Commissione utilizzi i fondi europei, ad esempio con un nuovo programma Sure che sia in grado di attenuare l’effetto di questo dramma».
𝐄 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞𝐭𝐞?
«Si potrebbe partire da una extra-tassa sugli extra-profitti realizzati con la pandemia: ci sono grandi aziende che hanno realizzato grandi utili e chiedere un contributo ora ci sembra naturale. Inoltre Bloomberg ha calcolato che i paesi del G20 hanno sborsato 3300 miliardi di contributi pubblici al settore delle energie fossili. Non è difficile individuare chi debba pagare i costi della transizione energetica. Ad esempio aumentando il fondo Just Transition che attualmente destina all’Italia solo 900 milioni».
𝐈𝐥 𝐠𝐨𝐯𝐞𝐫𝐧𝐨 𝐬𝐞𝐦𝐛𝐫𝐚 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐮𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐞 𝐦𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢. 𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐞?
«Siamo per un percorso di pace e per un ridimensionamento delle spese militari. Occorre ripensare la diplomazia internazionale, interrogarsi su un ruolo più attivo dell’Unione Europea anche alla luce della crisi dell’Onu, bloccata da scelte storiche e dal peso del potere di veto. Servono strumenti nuovi, ma siamo d’accordo per la riduzione delle spese militari».
𝐋𝐚 𝐠𝐮𝐞𝐫𝐫𝐚 𝐫𝐢𝐬𝐜𝐡𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐟𝐥𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐮𝐥 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐝’𝐚𝐜𝐪𝐮𝐢𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐞 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐭𝐢, 𝐜’𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐩𝐫𝐨𝐛𝐥𝐞𝐦𝐚 𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐟𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞?
«Sì, e abbiamo chiesto da tempo di utilizzare almeno l’indennità di vacanza contrattuale. Ci sono 7 milioni di lavoratori che hanno il contratto scaduto e chi ha fatto i rinnovi si è già trovato un contratto falcidiato dall’aumento dei prezzi. Vanno tutelati con una misura immediata. A chi ci dice che per intervenire serve il cuneo fiscale ricordiamo che abbiamo scioperato per questo, serve anche una politica salariale anche perché se non aumentiamo i consumi non ci sarà ripresa. Negli ultimi due anni sono stati dati più di 170 miliardi alle aziende, anche a chi ha licenziato o paga le tasse all’estero. Servirebbero più condizionalità per le aziende e più ristori per pensionati e lavoratori».
𝐍𝐨𝐧 𝐬𝐞𝐫𝐯𝐢𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐬𝐚𝐥𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐦𝐢𝐧𝐢𝐦𝐨?
«Sì, siamo d’accordo. La nostra unica preoccupazione è che coincida con i minimi contrattuali e non diventi uno strumento di sostituzione al contratto di lavoro. Il rischio è che con un salario minimo fuori dal contratto si venga attirati da una paga base più alta ma priva delle garanzie del contratto».